George Robert Loehr e Giuseppe Castiglione

di Marco Musillo


Poco conosciuto anche dai sinologi, l’americano George Robert Loehr (1892-1974) fu il primo autore di uno studio monografico in lingua italiana su Giuseppe Castiglione, intitolato Giuseppe Castiglione (1688-1766): Pittore di corte di Ch’ien-Lung, imperatore della Cina, pubblicato dall’ISMEO a Roma nel 1940; testo che rimanda a una conferenza tenuta sul pittore milanese due anni prima, il 23 maggio 1938. Solo recentemente, nel 2019, è uscito uno studio in lingua tedesca su questo autore, e soprattutto sulle sue fonti documentarie, curato dal Hartmut Walravens (George Robert Loehr jr. (1892–1974) und die Forschung über die Pekinger Jesuitenkünstler: Quellen und Materialien in deutscher Sprache, Books on Demand, Norderstedt, 2019). 


Anche se questo studio rappresenta un primo importante passo, il silenzio che circonda l’opera e lo studio di Loehr è lo stesso che ancora non permette di considerare l’opera artistica di Castiglione nel suo insieme. Il motivo di questo ritardo è da ritrovare nella difesa, da parte di studiosi dell’ambito sinologico-gesuitico, del monopolio dello studio delle missioni cattoliche nella Cina del diciottesimo secolo. Monopolio che è ancora contraddistinto dall’uso di retoriche agiografiche, e soprattutto da prospettive di ricerca svuotate da interpretazioni filologiche e limitate esclusivamente a studi biografici e bibliografici, o a imprese di traduzione. Solo negli ultimi decenni, Castiglione ha incominciato a essere citato non solo come membro della Compagnia di Gesù impiegato come pittore, ma anche come vero pittore professionista; anche se il comparire sulla scena degli studi sinologici ha comunque comportato per l’artista la perdita di qualsiasi merito individuale per quanto riguarda la sua originalissima traduzione estetica. Per questo motivo, è bene ritornare all’opera di Loehr di cui si ripropongono qui la breve introduzione, e il primo capitolo che descrive la preparazione del pittore in Italia, e la prima formazione in Cina.  

Il lettore si stupirà di scoprire che già negli anni Trenta, Loehr capì che Castiglione, prima di entrare nell’Ordine per essere spedito in Cina, aveva ricevuto una formazione dai grandi maestri lombardi e che quindi “avrebbe potuto occupare una posizione distinta tra i pittori della sua patria” (p. 7). Fu Loehr infatti che, come un moderno ricercatore, riuscì a risalire alle prime commissioni pittoriche ricevute dai gesuiti di Genova prima di imbarcarsi per la Cina, e che iniziò finalmente a considerare il tipo di dialogo culturale avvenuto nelle botteghe artistiche imperiali a Pechino, estraneo alla storia delle missioni. 


Nel primo capitolo, che ripercorre velocemente la vita artistica del pittore, attraverso citazioni da fonti gesuitiche quali le Lettere Edificanti, Loehr dimostra al lettore che anche quando ci si immerge nel solo contesto strettamente missionario, si può comprendere come Castiglione si trovò a vivere una straordinaria vita artistica fatta di dimensioni mai vissute prima da un pittore europeo. La diversità delle commissioni ricevute a Pechino, da quelle pittoriche a quelle architettoniche, e il successo ottenuto, ci spinge con sempre più insistenza a tornare a Milano, a quei primi passi compiuti dal giovane pittore, per scoprire una chiave di lettura della sua intera opera artistica. Infine, queste prime pagine del Loehr rappresentano già un indizio delle difficoltà incontrate da Castiglione durante il viaggio di ritorno della sua memoria: un autore americano che scrive in italiano ci mostra delle visioni della vita di un pittore italiano diventato artista ufficiale della dinastia mancese a Pechino. 

 Un viaggio di ritorno tortuoso ma non meno entusiasmante dell’andata: il ritorno di un grande pittore milanese nella sua città natale.